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Tornerete insieme, magari con quel Don Chisciotte, di cui si era tanto parlato?
«Non credo. È una questione di decenza, certe cose non posso più farle. Sono rimasto colpito, non tanto tempo fa, da un bambino, che mi ha squadrato per strada e poi ha detto al padre: “Com’è vecchio”. Terence, che ha dieci anni meno di me, forse sì».

Adesso però ha deciso di fargli concorrenza in tv con una nuova serie gialla, I delitti del cuoco, in onda su Canale 5 in primavera...
«Ma io non sono un prete come Don Matteo, bensì un commissario di polizia in pensione, che ha aperto un ristorante e dà una mano alla polizia. Lo dico subito: niente a che vedere con Nero Wolf né con Maigret. Semmai c’è qualche somiglianza col mio Piedone».

Sarà dura eguagliare il boom di Don Matteo...
«E allora? Sono felice del successo di Terence, se farò ascolti più bassi pazienza».

Anche tra di voi vi chiamate Terence e Bud?
«Ma no, ci sentiamo e ci vediamo di continuo: ciao Mario, ciao Carlo».


E come ha scelto il suo?
«Altrettanto semplice. Spencer Tracy era il mio idolo e la Budweiser la mia birra preferita».

Lei però ha cominciato la carriera in piscina?
«Sì, sono stato per dieci anni campione italiano dei cento stile libero... ».

Il primo a scendere sotto il minuto...
«Vero. Nel 1950 con 59 secondi e un decimo. Ma giocavo anche a pallanuoto: centravanti della nazionale, il famoso Settebello, alle Olimpiadi di Helsinki del ’52 e di Melbourne nel ’56. Che beffa: gli azzurri vinsero, senza di me, nel ’48 a Londra e nel ’60 a Roma».

Sport e cinema, due strade lontane...
«Mica tanto. Lo sport mi ha insegnato a restare con i piedi per terra. Quando nuotavo avevo le donne che volevo, i migliori alberghi e via dicendo. Ma un giorno ti svegli e c’è qualcuno che va più forte di te. E non sei più nessuno. Così nel cinema: il pubblico ti può togliere il successo in una notte».


Come ha cominciato col cinema?
«Per caso, anche se mia moglie Maria è figlia di uno dei più grandi produttori, Peppino Amato. Un giorno, era il ’67, il regista Giuseppe Colizzi le chiese: “È sempre grosso come prima? Ho bisogno di uno così per un western”».

Visto e preso, insomma...
«Non proprio. A me domandò: “Sai andare a cavallo? Parli inglese? Hai la barba?” Beccandosi tre no. “Va bene”, e aggiunse “quanto vuoi?”. Gli risposi: “Ho due cambiali da due milioni l’una, scadenza giugno e luglio. Me le paghi e siamo pari”. Ci pensò su due mesi, poi accettò. E girai il mio primo western».
Meno male.


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